Un efferato episodio di cronaca sta destando reazioni scomposte da parte dei media e delle stesse istituzioni, che lo cavalcano come pretesto per manipolare la pubblica opinione. Messo da parte come un ferrovecchio il principio di civiltà per cui la responsabilità penale è personale, essi si danno alla barbarie della colpevolizzazione collettiva, accusando del delitto un fantomatico patriarcato o perfino tutti i maschi in quanto maschi secondo una sceneggiatura già nota. Il ministro Valditara, forse frastornato dagli slogan che rimbalzano dappertutto ed essenzialmente inconsapevole sia della situazione contingente sia, soprattutto, del fine della scuola che ha l’incarico di amministrare, non ha saputo astenersi dall’assecondare il delirio, fino ad aprirgli le porte delle scuole di ogni ordine e grado, e così infliggerlo a tutti. Ha infatti annunciato 12 ore di “educazione alle relazioni” in ogni scuola d’Italia, arruolando per l’occasione cantanti, attori, “influencer”. Trascurando i lati comici della sua trovata, va notato come il ministro sembri ignorare che nessun evento singolo, tanto più se oggetto di indagine in corso, dovrebbe muovere iniziative istituzionali erga omnes, specie se rivolte ai più giovani: un delitto, per quanto orribile, non costituisce un’emergenza, e in ogni caso l’emergenza, più che l’occasione per elaborare buone leggi, è il preludio della dittatura. Ma c’è di più. Con la sua iniziativa, egli di fatto assegna alla scuola un compito che spetta alla famiglia e le attribuisce il potere abnorme di indicare modelli di comportamento e imperativi morali. Il ministro con ciò sembra ignorare anche come la scuola abbia perduto buona parte della propria autorevolezza proprio da quando ai docenti è stato imposto di abbandonare le loro discipline per sostituirle con “educazioni” tanto inconsistenti quanto ideologicamente compromesse, oltre che di assecondare con indulgenza sconsiderata la permissività dilagante assicurando l’impunità a ogni offesa verbale e atto violento. Ma la scuola, lungi dall’intestarsi compiti genericamente educativi (o rieducativi), come continua a fare con testarda insistenza ed esiti rovinosi, dovrebbe tornare a ciò che le compete davvero: istruire e, istruendo, educare. Essa infatti è il luogo di trasmissione della conoscenza dell’universale, quella sedimentata e consolidata nel tempo, necessaria affinché i giovani acquisiscano la capacità di superare la limitatezza e l’istintività della propria esperienza contingente attraverso la conoscenza delle leggi che la regolano.
È su tale conoscenza che si fonda la ragione. Ed è dal suo rafforzamento teorico, non dalle lezioncine morali, che dipendono la fermezza del carattere e la pratica della giustizia: solo lungo la strada lenta e paziente della conoscenza razionale qual è offerta dalle diverse discipline, e non certo per la fuorviante scorciatoia delle “educazioni” omologate, la scuola può adempiere la propria funzione esclusiva e fondamentale. L’iniziativa del ministro non fa che aggravare la malattia che affligge il nostro sistema scolastico, ottenendo effetti contrari a quello che, a parole, dice di prefiggersi: se da un lato indebolisce ulteriormente il prestigio dell’istituzione, dall’altro fa ad essa imboccare una preoccupante deriva autoritaria.
Associazione ContiamoCi!
Sindacato Di.Co.Si. ContiamoCi!
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