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“La tirannia della Salute” – Intervento del dr. Giacomini



“La tirannia della Salute”


Innanzitutto volevo ringraziare Nadia Gatti, Presidente del Condav, che mi ha invitato a questo Convegno e mi ritengo onorato di poter parlare oggi qui a tutti voi, al convegno nazionale di una associazione che ha alle spalle venticinque anni di storia e, immagino, venticinque anni di ascolto e di aiuto per tanti cittadini che hanno subito reazioni avverse alle vaccinazioni.

Credo sia un fardello pesante tanto più se si resta pressoché inascoltati.

Ammiro quindi la tenacia che anima tutti voi e il vostro Presidente.

Vedendo poi campeggiare sul vostro sito, a mo’ di esergo, una frase del politico e filosofo inglese Edmund Burke che recita: “Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male è che gli uomini buoni non facciano niente” ho capito quale sacro fuoco vi ha sostenuto e vi sostiene in questa lunga vostra battaglia.

La lotta contro l’inedia e il conformismo alla ricerca di Verità e Giustizia.

Una necessità ormai impellente per tutti noi qui presenti in sala e ritenfo per centinaia di migliaia se non milioni di cittadini italiani che hanno sperimentato con mano cosa ha significato il “non fare niente”.

Quando a fine 2020 ebbi piena consapevolezza del mio personalissimo “non fare niente” mi apparve chiaro quanto questa mia predisposizione al lasciar fluire gli eventi ritirandomi gradualmente all’interno delle mura domestiche avesse lasciato campo libero al Male. Un Male che ritenevo le solide mura della mia casa avrebbero respinto. Vi è un detto monastico che recita “una casa senza libri è come una fortezza senza armi”. Ecco pensavo che quelle armi (la cultura) mi sarebbero bastate per difendere me e la mia famiglia. Mai errore fu più grande ed illusione più amara. Tutto ciò ha però risvegliato la mia indole. Mi ha dato la sferzata necessaria per mettermi in cammino, per FARE. Ha fatto tabula rasa di qualunque atteggiamento auto-assolutorio con cui si è soliti mettere la coscienza a posto. Ora si trattava di capire, per me, cosa FARE.

ContiamoCi! è stata la mia Via dell’Azione ed è iniziata con un NO.

Un NO definitivo a quello schema di comunicazione, di persuasione e di manipolazione delle masse che va sotto il nome di finestra di Overton che ha fatto sì che l’inaccettabile sia diventato accettabile e quindi legalizzato.

E l’inaccettabile che si vuole far diventare oggi norma è il dominio della tecnica sulla persona. Oggi la dignità e la sacralità della persona non sono più inviolabili, ma condizionati a requisiti particolari. Privata della sua essenza spirituale la persona umana è diventata un mero aggregato materiale su cui si possono compiere sperimentazioni che vanno a toccare il codice genetico. Miliardi di individui in tutto il mondo hanno ceduto ciò che di più prezioso possiedono, la matrice della loro esistenza, a ignoti ricercatori in ignoti laboratori che producono farmaci il cui contenuto è secretato, spinti da una irrazionale paura della morte artatamente fomentata da mass media, canali social, istituzioni e politica.

La facilità con cui tutto è stato accettato, non solo in Italia, ma in tutto il mondo perlomeno occidentale e di quella parte dell’Asia più vicina al nostro modello sociale, culturale ed economico, pone però un interrogativo fondamentale.

Quando questa finestra ha cominciato a schiudersi?

Dove sono i prodromi di tale epifania?

Per rispondere a questa domanda bisogna fare un salto indietro nel tempo, all’origine di quella tecnica, la Medicina, che è anche arte, e che ha come oggetto un soggetto: l’Uomo. Il Prof. Giorgio Cosmacini nel suo libro “La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” ci ricorda come: “al tempo di Galeno il medico, essendo colui che esercitava l’arte della cura a vantaggio dell’uomo, doveva possedere la philosophia, suprema sintesi di technophilia, o “amicizia per l’arte”, e di philanthropia, o “amicizia per l’uomo”. Tecnica e antropologia erano tutt’uno, erano il patrimonio indivisibile, “olistico” del mestiere di medico”. E come in questo percorso bimillenario siamo oggi arrivati ad un punto in cui tutto ciò potrebbe essere irrimediabilmente smarrito perché, dice sempre il Prof. Cosmacini: “Quand’anche sia vero che i medici di famiglia e di corsia stiano per diventare “clinici molecolari”, “manager d’azienda” e “tecnici verdi “, c’è da chiedersi se gli impulsi verso tale mutazione ulteriore, loro impressi sia dalla ricerca traslazionale trasferita dai banchi di laboratorio ai letti di degenza, sia dalle pulsioni aziendali e dai moti d’opinione, impediranno alla tecnologia di smarrire l’asse di equilibrio che la preserva dal rischio di precipitare in tecnocrazia e vieteranno a quest’ultima di averla vinta sul rapporto umano che lega il medico al paziente, ed entrambi alla società di cui sono parte integrante.”

Questo sbilanciamento di cui teme il Prof. Cosmacini viene denunciato già in un saggio del 2006 apparso sul New England Medical Journal dal titolo: “American Medical Education 100 Years after the Flexner Report” che in realtà non fa altro che rilevare le sue radici profonde. Il Dottor Flexner, nel 1910, in base a un’inchiesta da lui condotta nelle 155 scuole di medicina allora esistenti negli Stati Uniti, aveva constatato che in queste istituzioni formative la priorità della ricerca scientifico-tecnica stava per diventare l’unico metro di giudizio dei traguardi già raggiunti o da raggiungere, mentre stavano perdendo importanza la clinica, l’attenzione al rapporto medico-paziente e la considerazione dei problemi di salute pubblica. A conclusione dell’inchiesta, il dottor Flexner aveva previsto, con sorprendente anticipazione, che con l’ulteriore sviluppo della ricerca biomedica le attività clinica e relazionale sarebbero state messe da parte con associata emarginazione ed esclusione degli aspetti umano-sociali.

Analisi profetica che descrive perfettamente la situazione della formazione attuale nelle scuole di Medicina e l’inevitabile sua applicazione nelle corsie di ospedale.

L’ossequio con il quale l’intera classe medica ha accettato, almeno nella sua forma istituzionale, il profluvio di normative e circolari che hanno impedito e negato l’assistenza e la cura al malato in questi ultimi due anni, fino ad arrivare allo sfregio estremo del negare l’ultimo saluto ai propri cari, non possono che interpretarsi come inevitabile conseguenza di quella ormai secolare formazione tecnico-scientifica del medico monca della componente filantropica che ne era invece parte essenziale alle sue origini. Ottusità morale che alfine si è rivelata anche scientifica visto l’acritica adesione a protocolli di cura e gestione suggeriti da comitati tecnico-scientifici imposti dalla politica e pervicacemente refrattari a qualsiasi confronto nel merito.

Ma se questo è stato il terreno fertile su cui protocolli e algoritmi hanno trovato facile attecchimento, comunque la Storia non si sarebbe dipanata come sappiamo se non vi fosse stato un altro ingrediente anch’esso apparecchiato con gran perizia da lungo tempo.

E questo ingrediente ha un nome preciso: medicalizzazione.

Il dr. Fitzpatrick nel suo libro “La tirannia della salute” esordisce con queste parole (siamo nel 2001): “Viviamo strani tempi. Le persone nelle società occidentali vivono una vita più lunga e più sana che mai. Eppure le persone sembrano sempre più preoccupate per la loro salute. C’è una larga convinzione che la dieta e gli stili di vita occidentali siano malsani e siano la principale causa delle attuali epidemie di cancro, patologie cardiache e ictus. Sfruttando e fomentando questi timori tramite campagne di pubblica salute i governi hanno quindi colto l’opportunità di introdurre un nuovo paradigma in cui in cambio di una vita più lunga e confortevole la persona è risposta ad accettare un controllo ormai pressoché totale sulla propria vita.”

Che questo paradigma nell’epoca del Covid abbia trovato ampio consenso e debole opposizione si spiega, a mio avviso, con l’assenza nella società di radicati valori e di grandi ideali e con la presenza, invece, di un individuo il cui orizzonte si è ormai ridotto al proprio corpo.

In un tale quadro la salute diviene quindi l’unica sorgente di consolazione per persone a cui non sono offerte ambizioni più alte. Il fine ultimo dell’esistenza umana si riduce al mero prolungamento della vita, o meglio di una vita vissuta salubremente. E se la vita salubre assume la veste di una vita vissuta virtuosamente, di conseguenza il cittadino virtuoso è colui che conforma i propri comportamenti alle indicazioni di chi sa come mantenere una vita sana. Oggi tale organo sapienziale è l’OMS che ha come suo obiettivo “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”, definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”.

La medicina, come già disse Foucault, “è quindi oggi dotata di un potere autoritario che ha funzioni normalizzatrici che vanno ben oltre l’esistenza delle malattie e la domanda del malato”.

E così assistiamo a una medicalizzazione della società pervasiva e diffusa in cui lo sguardo medico si allarga sempre di più a vasti strati della società, si intreccia in modo inestricabile con la politica e con le forme di controllo e di polizia, in una sorta di Panopticon in cui l’occhio del Ministero tutto vede e controlla, pronto attraverso comitati tecnico-scientifici creati alla bisogna a decidere se e come i cittadini possono esercitare le proprie libertà e i propri diritti.

In questa scala gerarchica il medico assume il ruolo quindi del guardiano, di colui che tende a far sentire le persone colpevoli dei mali che le colpiscono o che possono colpire la società a seguito di suoi comportamenti eterodossi.

Si giunge così ad una colpevolizzazione del cittadino non più affidata alla religione, ma alla visione etica della vita diffusa dalla medicina attraverso l’opera volenterosa dei divulgatori (le nostre virostar) che operano attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Questa cultura della colpevolizzazione promuove l’idea che la malattia colpisce chi non si impegna a conoscerla, ad esempio attraverso diagnosi precoci (pensiamo ai tamponi), o chi l’ha propiziata con il proprio stile di vita (ad esempio con il non rispetto del distanziamento sociale o il non uso della mascherina). Non si esita così a fare ricorso a programmi “educativi” (leggi sospensione dal lavoro o negazione del diritto allo studio) che riescono a far sentire in colpa o a disagio il soggetto che assume comportamenti giudicati non sani, fino ad arrivare alla sua esclusione dalla società.

Lo stato di emergenza è stato lo strumento operativo perché il manovratore potesse agire indisturbato.

Che sia stato introdotto a causa della pandemia dichiarata dall’OMS è un puro accidente. Ci sono d’altronde da diversi anni segni che lo stato di eccezione stia diventando il sistema normale di governo. Quello che il periodo “pandemico”ha dimostrato incontrovertibilmente è che i cittadini di questo mondo globalizzato e liquido hanno accettato per lo più supinamente il venir meno dello stato di diritto che è la conseguenza prima dell’introduzione di uno stato di emergenza.

Riporto qui le parole che il prof. Agamben ha rivolto agli studenti universitari contro il green pass in un congresso da loro organizzato.

Egli afferma riguardo alle conseguenze dell’introduzione dello stato di emergenza: “Se lo Stato, invece di dare disciplina normativa ad un fenomeno, interviene grazie all’emergenza sul quel fenomeno ogni 15 giorni o ogni mese, quel fenomeno non risponde più ad un principio di legalità, poiché il principio di legalità consiste nel fatto che lo Stato dà la legge e i cittadini confidano su quella legge e sulla sua stabilità. Questa cancellazione della certezza del diritto è il primo fatto che vorrei sottoporre alla vostra attenzione, perché esso implica una mutazione radicale non solo del nostro rapporto con l’ordine giuridico, ma nel nostro stesso modo di vivere, perché si tratta di vivere in uno stato di illegalità normalizzata. Al paradigma della legge si sostituisce quello di clausole e formule vaghe, come “stato di necessità”, “sicurezza”, “ordine pubblico”, che essendo in sé indeterminate hanno bisogno che qualcuno intervenga a determinarle. Noi non abbiamo più a che fare con una legge o con una costituzione, ma con una forza-di-legge fluttuante che può essere assunta, come vediamo oggi, da commissioni e individui, medici o esperti del tutto estranei all’ordinamento.”

Se dunque questo è oggettivamente il quadro all’interno del quale tutti noi ci troviamo a vivere, la domanda successiva è se l’Italia aveva o ha gli anticorpi per impedire che questo mefistofelico piano possa giungere a suo totale compimento.

La Costituzione Italiana ha un articolo, il 32, che già di per sé avrebbe dovuto essere un baluardo insormontabile contro cui si sarebbe dovuta infrangere l’alta onda dei plurimi interessi che hanno caratterizzato tutta la fase della cosiddetta “pandemia”.

E invece tale articolo è stato posto a fondamento di provvedimenti che hanno determinato la privazione dei diritti fondamentali di alcuni milioni di cittadini italiani.

Il dr. Iannello in un suo intervento sulla rivista online dirittifondamentali.it proprio nell’intento di una lettura autentica dell’art. 32 tiene a sottolineare come: “la qualificazione della salute in termini di libertà («fondamentale diritto dell’individuo»), l’unica, peraltro, ad essere definita come «fondamentale», rappresenta la grande novità, che non ha pari nelle costituzioni novecentesche. Che la salute individuale dovesse formare l’oggetto di una nuova libertà lo aveva chiaramente compreso Aldo Moro, il quale, durante i lavori dell’Assemblea costituente, sostenne con forza l’idea che la tutela della salute ponesse «un problema di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione. La considerazione della salute individuale come libertà fondamentale ha posto le premesse per l’innovazione più importante introdotta dall’art. 32 Cost., consistente nella profonda rimodulazione, in favore della libertà, del consueto rapporto tra la libertà e l’autorità, cioè fra il diritto individuale e la possibilità del sovrano democratico (la legge) di limitarlo. Questa novità è contenuta nel II comma che pone limiti al potere della legge di comprimere il diritto di autodeterminazione rispetto alle cure.”

Lo stesso prof. Rodotà individuò nell’art. 32 della Costituzione il «nuovo habeas corpus», cioè lo statuto della libertà corporale a tutela delle minacce dei tempi moderni che mettono in pericolo la disponibilità del corpo in modo più pervicace rispetto a come i poteri coercitivi dell’autorità di polizia minacciavano (e minacciano) la disponibilità fisica di sé, oggetto del tradizionale habeas corpus.

L’art. 32 della Cost. prende atto che l’invasività della moderna tecno-scienza impone di prevedere un’altra gamma di libertà dotate di garanzie che siano persino più forti di quelle tradizionalmente apprestate per la libertà fisica dagli arresti. Si tratta, infatti, di proteggere la sfera corporale ed intima della persona da un potere in divenire molto invasivo che pone in pericolo l’autonomia individuale attraverso il bios, riuscendo a mettere le mani sulla vita stessa. Una libertà che protegge il corpo nella sua dimensione più intima e profonda di fronte al potere medico e delle autorità sanitarie. Lo statuto giuridico predisposto dall’art. 32 Cost., chiarisce sempre Stefano Rodotà, va, pertanto, «oltre» il sistema di garanzie apprestato per la libertà personale: “nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato”.

La stessa Corte Costituzionale ebbe a chiarire che: “Nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. Ha inoltre chiarito che l’obbligo deve servire “non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”. La verifica del soddisfacimento del beneficio per la collettività si pone, pertanto, come questione da affrontare preliminarmente, perché «è proprio tale ulteriore scopo» a giustificare «la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo» rappresentata dal diritto fondamentale alla salute. Solo se sussiste un tale beneficio collettivo si può acconsentire alla limitazione dell’autodeterminazione individuale rispetto alle cure. Ora nel caso delle vaccinazioni obbligatorie la discrezionalità politica avrebbe dovuto essere ancorata non solo ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e necessità, ma avrebbe dovuto essere suffragata da evidenze scientifiche e supportata dal principio di precauzione. Sulle lacune delle evidenze scientifiche che hanno supportato le decisioni dell’OMS e quindi dei governi di molte nazioni possiamo tranquillamente affermare che non ve ne erano e non ve ne sono a sufficienza per poter obbligare i cittadini a sottostare all’inoculazione di farmaci peraltro sperimentali. Con l’aggravante ormai anche empiricamente provata che i farmaci suddetti non sono in grado di arrestare il contagio, conditio posta alla base dell’obbligo anche nel famigerato DL 44/21 e s.m.i. che ha determinato la perdita dei diritti civili di milioni di cittadini. Peraltro l’arresto del contagio, anche alla luce dell’art. 32 della Costituzione, era l’unico reale beneficio per la collettività che avrebbe potuto, in quel bilanciamento tra salute individuale e collettiva, giustificare la norma introdotta. Né può valere quanto la narrazione ufficiale, nella sua costante manipolazione e ricostruzione degli accadimenti (che ricorda molto da vicino l’attività del Ministero della Verità orwelliano di 1984), cerca negli ultimi mesi di far passare come obiettivo raggiunto della campagna vaccinale, anzi come motivo principe dell’importanza di una vaccinazione capillare e obbligata e cioè la riduzione della pressione sulle strutture ospedaliere definita come “beneficio per la collettività”. Messaggio questo che se dovesse passare avrebbe delle conseguenze che non esito a definire dirompenti. Il vaccino, nella sua accezione classica, presenta come suo unico beneficio per la collettività quello di impedire la trasmissione della malattia, andando quindi incontro al principio solidaristico per cui la popolazione è obbligata a vaccinarsi in difesa di quella minoranza di concittadini impossibilitati a farlo per questioni di salute. Che è poi il principio dell’immunità di gregge. Se invece dovesse passare il principio secondo cui il beneficio della collettività consisterebbe nella capacità di un farmaco di evitare le forme gravi di una malattia e quindi la pressione nelle strutture ospedaliere ci si avvierebbe pericolosamente verso l’obbligo di cura. E non ci sarebbe alcun argine a qualsiasi forma di obbligo sanitario. Chi potrebbe impedire un trattamento sanitario obbligatorio per prevenire ad esempio le malattie cardiovascolari o i tumori che tanto gravano sul servizio sanitario nazionale? La stessa assenza di risorse economiche o carenze di personale negli ospedali potrebbero essere la scusante per imporre tali obblighi. E tutti noi sappiamo la crisi profonda, se non addirittura il coma irreversibile, in cui versa il nostro servizio sanitario nazionale. Anzi c’è da chiedersi se il combinato disposto di definanziamento del servizio sanitario nazionale, aggravamento della carenza di personale sanitario e scelte scellerate di gestione della politica sanitaria in tema di pandemia, più che un casuale ingorgo di eventi non possa essere stato lo strumento attraverso cui operare una profonda rivoluzione non solo nell’ambito della salute, ma un fenomenale, e io direi diabolico, piano di riscrittura delle regole del vivere civile, un nuovo status quo che ora nella prassi e magari a breve anche nella forma, riscriva i nostri diritti fondamentali e attraverso tecniche collaudate di psicologia delle masse dischiuda le porte alla tirannide della Salute. E il cittadino, per Legge sano, non avrà nulla e sarà felice. Benvenuti nel 2030.




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